DON RIBOLDI NELLA MENTE DI UN BAMBINO.
Quando Don Riboldi veniva a far visita a Tregasio circa 50 anni fa esisteva un mezzo di comunicazione molto più veloce di internet: il passaparola che arrivava a tutto il paese, bambini e anziani. Quello era il loro social network, una connessione molto semplice perché Tregasio era una piccola comunità di tante cascine, con un nucleo centrale più grande. Le cascine raggruppavano famiglie con legami parentali stretti. Momento forte ere l’attesa della messa domenicale, ricordo da bambino quanto mia mamma (madre di 7 figli) ci tenesse che partecipassimo, al punto di spingerci affinché non andassimo in ritardo. A quei tempi non si usava essere accompagnati e quindi, durante il cammino, rallentavo, dato che la messa, per me, era una noia tremenda. Durante l’omelia del sacerdote la distrazione era ai massimi livelli, ma non mi annoiavo di certo, perché Tregasio possiede una Chiesa unica e stupenda. Infatti stavo con la testa all’insù, e fantasticavo nell’ammirare le navate cariche di immagini, come se fosse un libro aperto: un grande sole raggiante, angeli da tutte le parti, animali miti..un ruscello..e tanto altro. Ma quando la messa era presieduta da Don Riboldi, tutto cambiava. Desideravo sentirlo, non perche fossi guidato dallo Spirito Santo, ma perché di lui si discuteva all’interno di ogni famiglia, del suo impegno contro i prepotenti e del suo amore per i poveri. Divenne per me un supereroe.
Lo ricordo imponente per la sua statura fisica e anche l’espressione del volto, amavo sentirlo parlare: voce forte e modi semplici; pareva durante l’omelia che confidenzialmente entrasse in dialogo con me, con frasi incisive e una moltitudine di esempi del proprio vissuto. Mi colpì che una volta, durante l’omelia, disse che il suo desiderio dopo aver finito la sua missione, sarebbe stato un giorno ritrovarsi con i tregasini, giocando a carte. Ne fui fiero, al punto che lo raccontai a casa.
Questo però non avvenne: per amore dei suoi poveri, ha scelto di passare i momenti di riposo in una abbazia nei pressi della sua diocesi. Ora è sepolto nella cattedrale di Acerra.
Possiamo dire però che dietro quelle parole ci fosse il desiderio della sua terra di origine, dato dall’amore infinito per la mamma. Già da dodicenne nel momento in cui venne accolto in seminario fu preso da un senso di timore, abituato com’era alla piccola casa che lo aveva visto crescere. Per lui fu istintivo correre per le scale del convento per chiamare la madre che ormai era già lontana.
Spesso, nei momenti di sconforto e di paura desiderava tornare a casa. Queste sono le sue parole: “Anche quando sapeva che ero in grave pericolo non mi ha mai detto di fermarmi o altro. Quante volte ho bisogno della sua tenerezza e pietà! Ultimamente per tante ragioni, avevo in corpo una voglia matta di gettarmi nelle sue braccia come un bimbo svezzato, sentivo le sue deboli braccia al collo e mi stringevano tanto forte che era come se fossero le sue braccia sulla croce e non le mie.”
Disse anche che: “In mia madre ho sempre sentito forte il senso d’amore, di protezione, pertanto tu senti la mamma che ti cammina accanto sapendo teneramente tutto di te.”
La sentì ancora più vicino quando fu scosso da una profonda inquietudine: quando una ragazza gli confidò che era stata incaricata di ucciderlo e quando, un giorno, durante il rifornimento l’addetto al distributore gli fece osservare che la ruota anteriore era stata manomessa: infatti i bulloni erano stati svitati e quindi il mezzo rischiava di perdere una ruota.
Angelo Terruzzi
Triuggio 28.04.2023